TORINO-
18 anni di reclusione per disastro ambientale doloso permanente e omissione
dolosa di misure antinfortunistiche per Stephan Schmidheiny. La sentenza d’Appello
di lunedì 3 giugno aumenta la pena di due anni rispetto ai sedici del primo
Grado.
“Una sentenza
che è un inno alla vita – afferma il pm Raffaele Guariniello dopo la
lettura della sentenza d’Appello- un inno
alla tutela della salute nei
luoghi di lavoro e nelle città in cui risiedono gli stabilimenti. Un sogno di
Giustizia che si avvera. La nostra
speranza è che questo sogno possa avverarsi anche a Taranto e in tutte le città
italiane in cui si stanno consumando tragedie simili. Il messaggio lanciato
oggi deve arrivare anche in tutti quei paesi del mondo come Cina, Russia,
quegli stati in cui l’amianto continua ad uccidere senza che nessuna
istituzione prenda provvedimenti. Siamo soddisfatti per il grande messaggio di
oggi, una sentenza che fa da punto di riferimento per tutti. Noi purtroppo in
Italia contiamo i morti ogni anno perché continuano ad esserci, ma in India o
in Cina no, bisogna che le organizzazioni internazionali in particolare l’ONU
si diano da fare, non è possibile questa differenza di trattamento, processi
come questo spero che diano una spinta alle persone di buona volontà”.
I membri dell’AFEVA si sono presentati in tribunale
con al collo un distintivo in ricordo di Paola Chiabrera, ultima vittima di
mesotelioma, scomparsa a soli 36 anni. “Siamo venuti qui per Paola e per tutte
le persone che si ammalano ogni anno- affermano i famigliari delle vittime.
Paola rappresenta tutti i cittadini che non anno avuto alcun legame diretto con
la fabbrica Eternit, sono nati addirittura dopo la sua chiusura. Il processo è
solo parte di un lungo percorso appena iniziato che dovrà portare ad una
maggiore presa di coscienza da parte del mondo verso questa fibra killer. Non
solo in Italia, ma nel mondo non dovranno esserci più morti per Mesotelioma, il
processo deve ora dare spinta alla Bonifica ma soprattutto alla Ricerca”.
In aula il clima è rimasto teso, soprattutto perché
all’inzio il presidente della corte Alberto Oggè ha letto le assoluzioni per lo
Svizzero per i reati commessi prima del 1966, ma alla lettura della modifica
della prima condanna da sedici a diciotto anni, è esplosa la gioia e la
commozione sul volto dei familiari delle vittime, uniti e compatti più che mai.
Momenti di panico all’inizio della lettura della sentenza quando la corte ha
assolto “de Cartier de Marchienne Louis e Schmidheiny Stephan dai reati a loro
ascritti per il periodo precedente al 27.06.1966 per non avere commesso il
fatto nonché de Cartier de Marchienne Louis dai reati a lui ascritti con
riferimento al sito di Rubiera per non avere commesso il fatto”, Romana
Blasotti Pavesi, incredula, ha accusato un lieve malore e si è dovuta sedere,
ma quando Oggè ha proseguito nella lettura “Ridetermina la condanna a Sthephan
Schmidheiny ad anni 18 di reclusione”, la gioia ha avuto il sopravvento e tutti
i presenti si sono lasciati andare a sorrisi ed abbracci.
“Pensavo l’avessero assolto-ha affermato Romana- io
non sono convinta che sia tutto a nostro favore, però senz’altro andiamo avanti
nella lotta. Sono soddisfatta per il riconoscimento della colpevolezza dei dirigenti
Eternit, bisognerà capire cosa fare per i risarcimenti”.
La Corte ha quindi riconosciuto Schmidheiny
colpevole solo per l’effettivo periodo in cui ha gestito l’industra Eternit,
dal 1976 al 1986 (anno in cui Eternit dichiarò fallimento). Revocate le
statuizioni civili per la ditta Etex, di proprietà di De Cartier, per la morte
del conte avvenuta lo scorso 21 maggio. La morte del barone ha fatto estinguere
ogni reato e anche ogni pretesa di risarcimento delle persone a lui collegate
nel processo penale. Il giudice non ha potuto che prendere atto di questa
beffa.
Luci e ombre dunque sul processo ma un’elemento
importante spicca su tutti: “Il riconoscimento della colpevolezza dei
dirigenti- ha affermato Bruno Pesce, responsabile AFEVA- i risarcimenti sono
importanti e legittimi, ci mancherebbe, ma guardiamo invece al processo come
base per chiederli successivamente. Non possiamo che ritenerci soddisfatti,
Giustizia è stata fatta”.
Christian
Pravatà