TORINO-
Sono 800 le pagine di motivazioni sulla Sentenza Eternit del 3 giugno 2013
scritte dai giudici della Corte d’Appello di Torino Alberto Oggè, Elisabetta
Barbero e Flavia Nasi. 800 pagine che spiegano “oltre ogni ragionevole dubbio”
che l’imputato svizzero Stephan Schmidheiny patron di Eternit era consapevole
del disastro causato dalla lavorazione di amianto presso i suoi stabilimenti. Le
800 pagine spiegano come lo svizzero, oltre a sapere della cancerosità della
fibra, abbia cercato in tutti i modi di nascondere prove e di mettere a tacere
tramite azioni legali ogni piccola forma di curiosità dell’informazione
pubblica e dei sindacati. Questa sua opera di disinformazione gli consentì di
continuare a lavorare l’amianto per oltre dieci anni, da quando il padre Max
gli affidò il settore Eternit. La stessa pena sarebbe stata rivolta anche
all’altro imputato, il belga Louis de Cartier, ma a pochi giorni dal processo
d’Appello il vecchio barone è morto.
Nelle motivazioni si legge: “Stephan Schmidheiny da
un lato era ben consapevole del nesso causale esistente tra l’inalazione delle
polveri d’amianto e l’insorgenza di patologie che, per la loro gravità,
giustificavano una prognosi quasi sempre infausta; dall’altro, intendeva sdrammatizzare
il pericolo, accreditando ambiguamente ingiustificate incertezze, pilotando il
modo in cui sarebbe stato recepito il fenomeno della pubblica opinione”.
Schmidheiny era a conoscenza di alcune ricerche effettuate negli anni ’60 negli
Stati Uniti e in Canada sulla cancerosità dell’amianto e sull’imposizione (da
parte dell’Osha nel 1975) della concentrazione dell’amianto fino a 0,5 fibre
per cc. Fu interpellato lo scienziato Robock per convincere l’opinione pubblica
che quel limite non poteva essere imposto alla lavorazione industriale,
conseguenza la chiusura degli stabilimenti. Ecco così che la macchina di
disinformazione acquista una nuova arma: un manuale chiamato “Ausl 76” riferito
ai dirigenti operativi cui si chiedeva di ricorrere ad interventi legali per
far desistere eventuali volantini contro l’amianto o altre curiosità scomode da
parte di operai o sindacati. Per la sicurezza dentro e fuori la fabbrica venne
stanziata la somma insufficiente di 3 miliardi di lire.
L’imputato Stephan Schmidheiny quindi sapeva di
causare morti e disastro ambientale nei suoi stabilimenti di Casale, Cavagnolo,
Rubiera e Bagnoli, ma il profitto, l’avidità e la sua insensibilità erano più
forti di qualsiasi dovere morale verso la sicurezza degli operai, di tutti i cittadini
e di tutte le persone che ogni anno continuano a morire di Mesotelioma.
I commenti da AFEVA e UIL
Bruno Pesce dalla sede AFEVA commenta così le
motivazioni della sentenza: “Le motivazioni confermano quanto già sospettavamo
riguardo a Stephan Schmidheiny, tuttavia questo documento andrà approfondito
iniseme ai nostri avvocati. Emergono eprò subito due aspetti fondamentali: il
primo è la consapevolezza da parte di Schmidheiny del dolo e della cancerosità
dell’amianto. Fondamentale come prova fu il convegno di neuss del giugno 1976
dove si cercò in nome del risparmio di nascondere all’opinione pubblica la
pericolosità dell’amianto. Il secondo aspetto è la morte del belga Louis de
Cartier: la stessa pena inflitta a Schmidheiny sarebbe stata uguale per il
barone (18 anni di reclusione per disastro doloso ambientale permanente),
significa quindi che sono state tolte le provvisionali per morte del reo, ma è
chiara la responsabilità della ditta del belga (La Eltex) e conferma
la’tteggiamento parimenti colpevole.
Occorre rilanciare dunque le richieste verso lo
Stato per la Giustizia e i risarcimenti e che si crei una cordata tra
istituzioni (Regione, Comune, associazioni, sindacati) per anteporre prima di
tutti i diritti dei malati e dei familgliari delle vittime. La sentenza e
queste motivazioni dovrebbero imporre delle iniziative per tutte le parti
citate nel documento e intraprendere delle attività di giustizia internazionale
per colpire Schmidheiny (sequestro dei beni, congelamento dei conti e arresto)
che nel frattempo continua beatamente a vivere in qualche paradiso tropicale
(speriamo di no!). Il Brasile ci insegna la via giusta: affiancare alla
‘Multinazionale delle Vittime’ una ‘Multinazionale della Giustizia’”
Luigi Ferrando (Uil ) afferma: “Le motivazioni della
sentenza inflitta a Stephan Schmideiny il 3 Giugno ripercorrono fedelmente l’andamento del
processo d’appello che abbiamo vissuto in tutte le sue fasi. La vittoria morale
è piena, ma ora occorre trasformare questo successo da virtuale in concreto. Il condannato da contumace si è
trasformato in latitante e, a prescindere da come potrà scontare la pena, non
si vede tuttora come sia possibile costringerlo a pagare le provvisionali
risarcitorie previste in sentenza. Si apre la fase della concretezza, noi come
associazioni abbiamo interessato le forze governative affinchè si facciano
parte attiva nel perseguirlo anche attraverso azioni diplomatiche
internazionali. Il danno arrecato alla cittadinanza della nostra zona e degli
altri centri interessati è stato grave e richiede sinergie per ottenere
risarcimenti non più dilazionabili, prima ancora di avviare un processo
Eternit- bis, sia pure sacrosanto. Parimenti occorre poter utilizzare le somme
accantonate dai risarcimenti unilaterali elargiti dallo stesso magnate svizzero
attraverso le transazioni effettuate, da destinare a progetti promossi dal neo
costituito Centro Regionale Amianto. Noi come sindacato non lasceremo nulla
d’intentato per portare concreti risultati ai danneggiati che hanno già troppo
atteso”.
Christian Pravatà