giovedì 5 settembre 2013

SENTENZA ETERNIT: DEPOSITATE LE MOTIVAZIONI (da "La Vita Casalese" del 5/9/2013)




TORINO- Sono 800 le pagine di motivazioni sulla Sentenza Eternit del 3 giugno 2013 scritte dai giudici della Corte d’Appello di Torino Alberto Oggè, Elisabetta Barbero e Flavia Nasi. 800 pagine che spiegano “oltre ogni ragionevole dubbio” che l’imputato svizzero Stephan Schmidheiny patron di Eternit era consapevole del disastro causato dalla lavorazione di amianto presso i suoi stabilimenti. Le 800 pagine spiegano come lo svizzero, oltre a sapere della cancerosità della fibra, abbia cercato in tutti i modi di nascondere prove e di mettere a tacere tramite azioni legali ogni piccola forma di curiosità dell’informazione pubblica e dei sindacati. Questa sua opera di disinformazione gli consentì di continuare a lavorare l’amianto per oltre dieci anni, da quando il padre Max gli affidò il settore Eternit. La stessa pena sarebbe stata rivolta anche all’altro imputato, il belga Louis de Cartier, ma a pochi giorni dal processo d’Appello il vecchio barone è morto.
Nelle motivazioni si legge: “Stephan Schmidheiny da un lato era ben consapevole del nesso causale esistente tra l’inalazione delle polveri d’amianto e l’insorgenza di patologie che, per la loro gravità, giustificavano una prognosi quasi sempre infausta; dall’altro, intendeva sdrammatizzare il pericolo, accreditando ambiguamente ingiustificate incertezze, pilotando il modo in cui sarebbe stato recepito il fenomeno della pubblica opinione”. Schmidheiny era a conoscenza di alcune ricerche effettuate negli anni ’60 negli Stati Uniti e in Canada sulla cancerosità dell’amianto e sull’imposizione (da parte dell’Osha nel 1975) della concentrazione dell’amianto fino a 0,5 fibre per cc. Fu interpellato lo scienziato Robock per convincere l’opinione pubblica che quel limite non poteva essere imposto alla lavorazione industriale, conseguenza la chiusura degli stabilimenti. Ecco così che la macchina di disinformazione acquista una nuova arma: un manuale chiamato “Ausl 76” riferito ai dirigenti operativi cui si chiedeva di ricorrere ad interventi legali per far desistere eventuali volantini contro l’amianto o altre curiosità scomode da parte di operai o sindacati. Per la sicurezza dentro e fuori la fabbrica venne stanziata la somma insufficiente di 3 miliardi di lire.
L’imputato Stephan Schmidheiny quindi sapeva di causare morti e disastro ambientale nei suoi stabilimenti di Casale, Cavagnolo, Rubiera e Bagnoli, ma il profitto, l’avidità e la sua insensibilità erano più forti di qualsiasi dovere morale verso la sicurezza degli operai, di tutti i cittadini e di tutte le persone che ogni anno continuano a morire di Mesotelioma.
I commenti da AFEVA  e UIL 
Bruno Pesce dalla sede AFEVA commenta così le motivazioni della sentenza: “Le motivazioni confermano quanto già sospettavamo riguardo a Stephan Schmidheiny, tuttavia questo documento andrà approfondito iniseme ai nostri avvocati. Emergono eprò subito due aspetti fondamentali: il primo è la consapevolezza da parte di Schmidheiny del dolo e della cancerosità dell’amianto. Fondamentale come prova fu il convegno di neuss del giugno 1976 dove si cercò in nome del risparmio di nascondere all’opinione pubblica la pericolosità dell’amianto. Il secondo aspetto è la morte del belga Louis de Cartier: la stessa pena inflitta a Schmidheiny sarebbe stata uguale per il barone (18 anni di reclusione per disastro doloso ambientale permanente), significa quindi che sono state tolte le provvisionali per morte del reo, ma è chiara la responsabilità della ditta del belga (La Eltex) e conferma la’tteggiamento parimenti colpevole.
Occorre rilanciare dunque le richieste verso lo Stato per la Giustizia e i risarcimenti e che si crei una cordata tra istituzioni (Regione, Comune, associazioni, sindacati) per anteporre prima di tutti i diritti dei malati e dei familgliari delle vittime. La sentenza e queste motivazioni dovrebbero imporre delle iniziative per tutte le parti citate nel documento e intraprendere delle attività di giustizia internazionale per colpire Schmidheiny (sequestro dei beni, congelamento dei conti e arresto) che nel frattempo continua beatamente a vivere in qualche paradiso tropicale (speriamo di no!). Il Brasile ci insegna la via giusta: affiancare alla ‘Multinazionale delle Vittime’ una ‘Multinazionale della Giustizia’”
Luigi Ferrando (Uil ) afferma: “Le motivazioni della sentenza inflitta a Stephan Schmideiny il 3 Giugno  ripercorrono fedelmente l’andamento del processo d’appello che abbiamo vissuto in tutte le sue fasi. La vittoria morale è piena, ma ora occorre trasformare questo successo da virtuale in concreto. Il condannato da contumace si è trasformato in latitante e, a prescindere da come potrà scontare la pena, non si vede tuttora come sia possibile costringerlo a pagare le provvisionali risarcitorie previste in sentenza. Si apre la fase della concretezza, noi come associazioni abbiamo interessato le forze governative affinchè si facciano parte attiva nel perseguirlo anche attraverso azioni diplomatiche internazionali. Il danno arrecato alla cittadinanza della nostra zona e degli altri centri interessati è stato grave e richiede sinergie per ottenere risarcimenti non più dilazionabili, prima ancora di avviare un processo Eternit- bis, sia pure sacrosanto. Parimenti occorre poter utilizzare le somme accantonate dai risarcimenti unilaterali elargiti dallo stesso magnate svizzero attraverso le transazioni effettuate, da destinare a progetti promossi dal neo costituito Centro Regionale Amianto. Noi come sindacato non lasceremo nulla d’intentato per portare concreti risultati ai danneggiati che hanno già troppo atteso”.
                                                                                                                                Christian Pravatà